lunedì 17 agosto 2009

La bussola di Noè di Ann Tyler


"Sempre uguale a se stessa, Anne Tyler non si ripete mai. La sua formula è facile da definire: piccole esistenze di gente qualunque, quasi sempre nell’area metropolitana della sua Baltimora, alle prese con vicende di solito abbastanza banali, ma con risvolti di una certa, di solito mite, eccentricità - eccentricità nelle vicende stesse, dico, e anche nei personaggi. Nel dettaglio le sue storie appaiono perfettamente verosimili, ma non seguono necessariamente la logica. Perché dovrebbero, del resto? Le azioni umane sono del tutto razionali soltanto nei romanzi o nelle commedie, dove l’autore propone un mondo che controlla; ma la realtà è diversa, e ditemi voi quante persone conoscete che siano veramente «normali» - che non abbiano nemmeno qualche piccola mania segreta, di quelle che gli altri chiamano fisime ma che possono essere di irrinunciabile importanza per il portatore, se non addirittura dominarlo. L’ultimo, accattivante romanzo di questa deliziosa scrittrice rischia impavidamente la banalità per almeno due terzi del dettato - la prima vera sorpresa, destinata a rimanere quasi unica, arriva dopo la pagina 160 - e ci vogliono lettori fiduciosi, o semplicemente incantati dal tranquillo realismo della narrazione, per arrivare fino a questo punto. Ma Anne Tyler non ha mai deluso finora, e non lo fa nemmeno questa volta. L’eroe de La bussola di Noè è, al solito, un uomo esteriormente poco notevole, anche perché come molti protagonisti di Anne
Tyler
è stato lui a defilarsi dalla vita. All’Università Liam Pennywell
si era appassionato alla filosofia e sembrava destinato a una carriera accademica, ma poi ha accettato di declassarsi a insegnante di storia inunliceo, e di lì è sceso ancora più in basso, diventando maestro in una scuola per bambini, finché adesso, a sessant’anni, un riassetto del personale non gli fa perdere anche questo modesto lavoro. Ed ecco che invece di ribellarsi come qualcuno si poteva aspettare, Liam si adatta subito a una vita da pensionato, tanto è solo: la prima moglie è morta, dalla seconda ha divorziato, le figlie non le vede quasi mai. Così si disfa dell’appartamento troppo grande, dà via i mobili superflui e anche molti libri un tempo amati, sceglie quasi distrattamente un appartamentino al pianoterra di un nuovo centro residenziale in una periferia un po’ squallida e ci si installa. Ma qui proprio la prima sera ha un incidente che lo costringe a rifare i conti con se stesso e con tutta la propria esistenza: un malfattore gli entra in casa e lo tramortisce in una colluttazione. Quando si risveglia all’ospedale senza nessun ricordo di quanto è avvenuto, Liam scopre di non essere più autosufficiente, o per lo meno che le sue figlie e la sua ex moglie si ritengono in dovere, sia pure alla loro maniera a seconda dei caratteri impacciata, prepotente, magari non troppo cordiale, a assisterlo in qualche modo; la più piccola, un’adolescente che non va d’accordo con la madre, gli si piazza addirittura in casa. Così, confusamente, mentre tenta di riorganizzarsi, anche di recuperare il suo vuoto di memoria (questo con mosse incerte, come pedinare il neurologo dal quale spera di ottenere qualche lume), Liam comincia a subire sempre di più le intrusioni di un mondo - familiari estraniati, nuove conoscenze che gli si impongono - che credeva di avere escluso. E gradualmente, senza rendersene veramente conto e addirittura credendo di non volerlo, finisce per rientrare in quella vita dalla quale si era sempre difeso e che da ultimo pensava di avere abbandonato per sempre." (da Masolino D'Amico, Se la carriera accademica va in frantumi, "TuttoLibri", "La Stampa", 15/08/'09)

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