venerdì 7 agosto 2009

Il mito greco


"Se credete che il mondo degli dèi e degli eroi antichi non abbia più a che fare col nostro, andate su Internet e su un motore di ricerca per immagini scrivete il nome, mettiamo, di Afrodite o di Pandora: vedrete apparire - in una successione
tanto caotica quanto significativa - opere d'arte di età greca o romana, ma anche tante altre realizzate nei secoli successivi e molte immagini create oggi stesso: il cinema, i cartoni animati, la grafica dei computer game; pare, addirittura, che si possano acquistare sul Web modelli diversi di «Pandora box». Naturalmente siamo davanti a reinterpretazioni, alterazioni e degradazioni degli antichi miti, ma si tratta pur sempre di segni della straordinaria vitalità che questi racconti ebbero già nella stessa civiltà classica e poi lungo il Medioevo fino a tutta l'età moderna. Non a caso Giulio Guidorizzi, nell’introduzione al primo dei Meridiani Mondadori dedicati al Mito greco, parte proprio dagli dèi affrescati in un salone del Principe di Salina, nel Gattopardo. E quanti altri cicli di affreschi, singoli dipinti e statue si potrebbero affiancare a questo esempio, per non parlare delle innumerevoli occasioni in cui dèi ed eroi antichi diventano protagonisti di opere letterarie o di composizioni musicali in età moderna. Al contrario di quanto si credeva tra Sette e Ottocento, infatti, il mito greco non è l'esito di un'elementare visione del mondo o l'ingenua espressione di una civiltà ai suoi albori, ma una «radice oscura e inestirpabile della civiltà» capace di attivare «processi simbolici profondi della psiche umana»; non per nulla, come spiega Guidorizzi nel ricco saggio che apre il volume, quello dell’interpretazione e della spiegazione dei miti fu un problema su cui si arrovellarono gli stessi Greci, per non dire dei moderni, da Vico a Freud e oltre. La visione che abbiamo oggi del mito greco è comunque fortemente segnata dalla prospettiva antropologica, che ci fa scoprire come l'elaborazione di questi racconti, prima ancora di riguardare l'ambito letterario e artistico, fosse legata alla sfera religiosa e rituale, a quella politica e persino a quella economica; e questi racconti si potevano quasi toccare, se è vero che ancora in età romana si continuavano a mostrare in Grecia le tracce delle vicende degli dèi impresse in questo o quel luogo. Il mito, dunque, come «istituzione sociale» che si fonda sulla memoria collettiva di una comunità e che serve a rafforzarne i legami interni e l'identità, grazie proprio a un meccanismo di continuo recupero e rinnovata trasmissione di storie. Questa profonda penetrazione dell’immaginazione mitica nella vita quotidiana delle città della Grecia antica determinò la proliferazione di questi racconti e il loro procedere del tutto asistematico, se non addirittura labirintico, tanto che gli stessi antichi sentirono a un certo punto l'esigenza (rivelatasi ben presto illusoria) di mettere ordine in questa congerie di narrazioni. Il nuovo Meridiano parte proprio da questa constatazione dell’impossibilità di ricostruire una «storia degli dèi» ed evita l'improbabile schematicità di un repertorio mitografico, per valorizzare piuttosto la multiforme e a volte con-traddittoria, lasciatici dagli autori antichi, in un arco di tempo di oltre un millennio, dall’età greca arcaica fino alla tarda romanità. Troviamo così Omero ed Esiodo, ma anche Alceo, Euripide, Callimaco, Apollodoro; Ovidio, ma anche Lucrezio, Virgilio, Igino, Pausania; i poeti epici prima di tutto, ma anche i lirici, i tragediografi, gli storici, i mitografi. Da questa brulicante successione di generi e di scrittori apprendiamo che gli dèi non sono sempre esistiti, che sono
nati per restare immortali, ma a volte anche per morire; che, entro un universo a loro preesistente, hanno dovuto affermare il proprio dominio lottando con esseri mostruosi. Gli dèi agiscono quasi sempre in modo mirabolante, a cominciare da quando vengono al mondo: Afrodite dalla spuma delle acque marine in cui erano caduti i genitali recisi di Urano, Atena dalla testa di Zeus o Dioniso dalla sua coscia; uno ha due madri, un altro nasce da un fiore, un altro ancora viene gettato nell’Oceano dalla madre. E poi si corteggiano, amoreggiano, si sposano e i loro amplessi, tutt’altro che prevedibili e noiosi, generano altri dèi ed eroi; gli uni e gli altri abitano talora territori favolosi e remoti, talora luoghi quanto mai prossimi a quelli degli uomini, tanto che è possibile incontrarli improvvisamente e contemplarli in vere e proprie epifanie. Persino le relazioni dirette con gli umani non sono affatto escluse, e un dio o una dea si possono innamorare di un uomo o una donna e avere figli da essi; per quanto gli dèi vivano nella bellezza e nella beatitudine, anche essi, come gli uomini, si commuovono, piangono, soffrono. D'altra parte questo continuo incontro con la dimensione dell’uomo e la frequente condivisione delle sue passioni e delle sue pulsioni sono senz’altro gli aspetti che meglio caratterizzano la visione che gli antichi ebbero del divino e che spiegano l'immensa eco della mitologia greca anche dopo la fine del mondo antico." (da Claudio Franzoni, Anche gli dèi non sono immortali, "TuttoLibri", "La Stampa", 01/08/'09)

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