mercoledì 5 agosto 2009

I miracoli della traduzione


"Di fronte a chi traduce, l'ammirazione spesso prende il senso dello stupore: il tal dei tali, come sa bene il tedesco! o l'inglese! o il greco! Ma che significa 'sapere' una lingua che non è la nostra? Certo, la lingua familiare, materna, la sappiamo quasi senza prenderne coscienza, e spesso malgrado a scuola ci insegnino grammatica e sintassi, continuiamo a intrattenere con essa una confidenza innocente, ingenua. Mente con la lingua estranea, che impariamo, la relazione è sempre 'riflessiva', e il possesso rimane precario, proprio perché insidiato dalla coscienza che quella lingua non ci appartiene. In più, quando ci si trovi di fronte a un fenomeno di scrittore come Shakespeare, non solo ci ritroviamo in una lingua estranea - l'inglese elisabettiano, che non è affatto l'inglese che ci serve a viaggiare per il mondo - ma di fronte a una creazione linguistica che rispetto alla lingua inglese è unica. L'Amleto è un assoluto àpax. Capite? E' una scoperta lapalissiana, ma insisto: non basta sapere l'inglese per scrivere Amleto. Bisogna essere Shakespeare. Come non basta sapere l'inglese per tradurlo. Sa l'inglese Garboli? Sa l'inglese come sa il francese? No. Eppure, traduce Shakespeare. Non è un miracolo? Sì, è un miracolo. Ma una buona traduzione è sempre un miracolo. Ci vuole la 'grazia', e la grazia cade dall'alto non per meriti, né conoscenze, né metodo. La 'mitica' traduzione dell'Amleto di Shakespeare, opera di Cesare Garboli, uscita da Einaudi per le amorevoli e devote cure di Laura Desideri e Carlo Cecchi, trasuda di grazia. Cesare Garboli non aveva pubblicato quella traduzione in vita, gli era bastato sentirla sulle labbra di Carlo Cecchi e dei suoi attori. Ma, a quanto ci racccontano i due curatori, negli ultimi anni aveva vinto la riluttanza, ed ecco, la traduzione è ora a disposizione nostra. Non v'è testo a fronte, ed è giusto così. Chi legge questa traduzione non andrà a confrontarla con il testo originario, si lascerà cullare dalla cantabilità dell'endecasillabo garboliano, quasi scivolando nell'incantamento di una lingua mdoerna, ma non troppo; senz'altro musicale. [...]" (da Nadia Fusini, I miracoli della traduzione. Quando il genio di Garboli creò l'Amleto svogliato, "La Repubblica", 05/08/'09)

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