lunedì 21 aprile 2008

Mauthausen. Storia di un lager di Giuseppe Mayda


"Che il lager di Mauthausen abbia rivestito un ruolo centrale nel sistema delle 'fabbriche della morte' naziste è ormai qualcosa di universalmente assodato. Meno scontata, invece è la percezione di come questo lager abbia pesato a lungo sulla storia del Novecento e in modo più ampio di quel che generalmente si supponga. A darne emblematica dimostrazione è una singolare vicenda che Giuseppe Mayda
va a raccontare nelle pagine finali del suo rilevante e documentato saggio Mauthausen. Storia di un lager. Mayda, per consentire di comprendere come quel lager abbia rappresentato il paradigma del sistema concentrazionario perfezionatosi nel corso degli anni dentro il cuore dell'Europa sino a sfociare nella pratica della 'soluzione finale' nazista, ricostruisce la vicenda del milanese Sante Romanoni, classe 1896, uno dei pochissimi che per due volte - nell'arco dei trent'anni più tribolati del ’900 - finisce a Mauthausen. La prima volta Romanoni, sergente del 37° Reggimento di fanteria, ci arriva, dopo la rotta di Caporetto, come prigioniero di guerra dell'Austria (Paese che poi rappresenterà l'8% della popolazione del III Reich ma fornirà oltre un terzo del personale direttivo dei lager nazisti). Romanoni nel 1917 sperimenta comunque cosa
sia la fame più atroce. A Mauthausen si sopravvive grazie agli aiuti della Croce Rossa. Questo non accade invece la seconda volta che Romanoni finisce a Mauthausen, nell'aprile 1944, assieme ad altri venti operai dell'Alfa Romeo, deportati perché hanno scioperato. Con Romanoni si salveranno solo altri quattro compagni di lavoro. Per Mauthausen è infatti il periodo atroce della mattanza che stermina oltre il sessanta per cento dei duecentomila deportati transitati oltre il lugubre portone ferrato che, scriverà uno dei sopravvissuti, 'aveva un sinistro aspetto mongolico e parlava il linguaggio di antiche età barbariche'. Mayda nel suo libro, pervaso da passione civile e pazientemente costruito su infinite tessere di memoria, fa rivivere ogni spicchio di questa 'cittadella della morte', sorta accanto alla piccola località di Mauthausen che da tempo prosperava attingendo alle cave di granito che erano servite a pavimentare con eleganza, nell'Ottocento, le vie centrali di Vienna. Con l'annessione dell'Austria il granito viene estratto dalla cava grazie al lavoro forzato dei deportati che cominciano a giungervi sin dal 1938: le pietre serviranno a costruire i grandiosi monumenti che Hitler vuole erigere a se stesso in trentadue città simbolo del Reich: tra queste Linz, a pochi chilometrida Mauthausen, dove ha trascorso l'infanzia e dove sogna di passare la vecchiaia. Mauthausen,da questo libro, emerge in tutte le sue sfaccettature e rivela l'articolata gamma di modalità che regge, con ritmo industriale, lo sterminio dei deportati. Alcuni giungono al lager già condannati - a loro insaputa - ad essere soppressi in giornata: le SS provvedono alle esecuzioni con finti incidenti che avvengono sotto gli occhi di tutti. Altri prigionieri invece, appena inabili al lavoro, sono mandati alla camera a gas o uccisi dal 'servizio medico' con iniezioni al cuore. I più, invece, sono eliminati sulla 'scala della morte': un susseguirsi di scalini a picco sul baratro che i deportati, portando grosse pietre, devono percorrere sino a quando precipitano. Tutto questo - e Mayda lo documenta minuziosamente - avviene sotto gli occhi di una popolazione civile che vive accanto al lager e, tranne pochissime eccezioni, finge di non vedere, di non sapere. Poiché nella cittadina di Mauthausen, paralizzata dall'orrore, anche la compassione è un crimine." (da Giorgio Boatti, Là dove anche la compassione era un crimine, "TuttoLibri", "La Stampa", 19/04/'08)

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