mercoledì 23 aprile 2008

Lo scrittore si dà all'epica


"Nella letteratura italiana sta accadendo qualcosa. Qualcosa di importante, uno smottamento che getta in crisi ogni etichetta e cliché. Purtroppo, come spesso capita, bisogna guardare l'Italia da fuori per capire di che si tratti. Occorre la distanza, quella che permette di sciogliere legami superficiali e trovare analogie nascoste. Da noi la visuale è angusta: l'accademia si fiuta l'alito nella mano chiusa a conchiglia, si definiscono 'contemporanei' autori morti prima del lancio dello Sputnik e manca del tutto il confronto tra quel che si scrive in italiano e quanto si produce in altre letterature, ad esempio quelle 'post-coloniali'. Insomma, non si percepisce in che misura molti scrittori italiani stiano producendo opere nuove e sorprendenti. Se ne accorgono, invece, nel resto d'Europa e di là dall'Atlantico: Gomorra di Saviano è tra i cento libri più importanti del 2007 secondo il New York Times; nel Belpaese la notizia è stata accolta come una 'curiosità', pettegolezzo editoriale, e invece avrebbe dovuto far pensare, perché Gomorra è quel che affiora, è gli occhi del coccodrillo. Sotto il pelo dell'acqua la bestia è grossa, nuota veloce e morderà a sorpresa. Dall'estero fioccano inviti agli scrittori italiani perché vadano a spiegare il loro lavoro. Tra quanti hanno drizzato le antenne c'è persino il Massachussets Institute of Technology di Boston. Henry Jenkins, direttore del dipartimento di studi sui media, ha invitato i sottoscritti Wu Ming a fare rapporto su quel che succede. Insomma, serviva lo sguardo esterno per individuare il filone che in America iniziano a chiamare 'nuova narrazione epica italiana' o, più breve, 'New Italian Epic'. 'Epica' nel senso di coralità, narrazioni ampie e a lunga gittata, che mettono in questione la memoria e il futuro, si reggono sulla tensione tra complessità e dimensione popular, sperimentano con punti di vista inconsueti, storie alternative, costruzioni di mondo, e nel farlo cercano costantemente la comunità, il dialogo coi lettori. Il 'New Italian Epic' è nato dal lavoro sui 'generi', dalla lroo forzatura, ma non è più la vecchia 'contaminazione', c'è uno scarto, si va oltre, gli autori non si pongono neppure più il problema. E non è nemmeno più il distaccato, gelidamente ironico pastiche postmodernista, parliamo di narrazioni 'calde', fondate su un'autentica fiducia nella parola e sulla rivendicazione di un'etica del narrare dopo anni di cinismo e gioco forzoso. 'New Italian Epic'. Se la definizione ha un merito, è quello di mettere insieme libri in apparenza diversi, ma che molto hanno in comune a un livello profondo. Negli ultimi dieci-quindici anni si è formata una densa nebulosa di narrazioni. Gli eventi del 1989-'93, dalla caduta del Muro a Tangentopoli, avevano liberato energie e ispirato a fare un uso politico dei 'generi', a partire dal giallo al noir. Nel 2001, Genova prima e l'11 settembre poi hanno fatto capire che ancora non bastava. Gli scrittori sono entrati nella nebulosa con le loro navicelle, giungendovi da ogni direzione, e dal centro già ripartono, volano in ordine sparso, le traiettorie divergono, s'incrociano, divergono. Questi autori non formano una generazione in senso anagrafico, hanno età diverse, ma sono una generazione letteraria, condividono segmenti di poetiche, brandelli di mappe mentali e un desiderio feroce che ogni volta li riporta agli archivi, o per strada, o dove archivi e strada coincidono, come nelle genesi di Gomorra e Romanzo criminale. C'è chi, come Camilleri, Lucarelli e Carlotto, ha lavorato sul poliziesco in modo tutto sommato 'tradizionale', per poi sorprendere con romanzi storici 'mutanti' (La presa di Macallè, L'ottava vibrazione e Cristiani di Allah). Altri, come Genna e De Cataldo, hanno masticato il crime novel con in testa l'epica antica e cavalleresca, per poi affrontare narrazioni maestose e indefinibili (Dies irae, Hitler) o estinguere la spy-story in un esperimento di prosa poetica (Nelle mani giuste). Nel mentre, Evangelisti ibridava in modo selvaggio i generi 'canonici' della paraletteratura, al contempo producendo un ciclo epico (la serie del Metallo urlante) che è miscela di soprannaturale, romanzo storico e studio sulle origini del capitalsimo. Ancora: partendo dai poli opposti del giornalismo d'inchiesta e del 'teatro di poesia', Saviano e Babsi Jones hanno prodotto due 'oggetti narrativi non-identificati', Gomorra e Sappiano le mie parole di sangue. E infatti si trascina da due anni il dibattito di lana caprina sullo statuto di Gomorra: romanzo o reportage? Narrativa o giornalismo? Ovviamente, solo per falsa modestia non abbiamo ancora parlato di noi stessi, che pure, fin dall'esordio con Q, siamo 'New Italian Epic' dai metatarsi al telencefalo. Vengono in mente altre opere, scritte da Scurati, Guarnieri, Zaccuri, De Michele, Flavio Santi e tanti ancora, alcuni appen aesordienti e laggiù, in fondo, premono i posteri. Fermiamoci qui. In quasi tutti i libri presi in esame esiste, esplicita o implicita, una premessa 'ucronica', un interogativo su 'cosa sarebbe successo se'. Se per anni i media non si fossero occupati solo di mafia sicula ignorando la crescita della camorra; se Leopardi non fosse morto a Napoli nel 1937; se la Banda della Magliana avesse liberato Moro. 'Ipotesi controfattuali', le chiamano gli storici. Imboccarle come rampe di lancio consente di essere spregiudicati, prendere di petto la memoria collettiva, lavare in pubblcio i panni sporchi di questo Paese e non solo. Ecco, questo 'non solo' ci fa passare dal tempo allo spazio, dalla storia alla geografia: gli autori del NIE sono italiani, eppure non ancorano le loro storie al fondale nostrano, si sentono liberi, liberi di navigare e narrare il mondo. Il mondo li vede passare, come Nettuno ammirò l'ombra di Argo, e ne resta intrigato. Nella letteratura italiana sta accadendo qualcosa, l'Italia non deve far altro che accorgersene." (da Wu Ming, Lo scrittore si dà all'epica, "La Repubblica", 23/04/'08)

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