lunedì 14 aprile 2008

Italia 2. Viaggio nel paese che abbiamo inventato


"Secondo i politologi non dipende dalle nostre leggi elettorali: è l'antropologia italiana a essere fortemente 'divisoria'. Ferma al 18 aprile 1948, sempre e comunque Don Camillo e Peppone. Pur avendoli distribuiti equamente negli schieramenti, i Doncamilli (di Pepponi ce n'è rimasti in giro pochini): quanto più sogni e promesse sono uguali per tutti, tanto più gli italiani hanno bisogno di sentirsi divisi. Ancorché non lo siano più da tempo. Una suddivisione è reale, però. Quella tra l'Italia che c'è e quella che non c'è. O meglio: che c'è eccome - è l'unica che si vede in effetti - ma solo in immagine, in sogno. In tivù (appunto) gli spettri delle ultime settimane ci hanno parlato di quest'Italia virtuale. L'Italia delle statistiche e delle inchieste, dei servizi della Cnn. Insistendo sulle donne in orizzontale o in verticale, sui fucili veri o metaforici, sugli inceneritori che non ci sono e non ci saranno. Quella che non c'è è l'Italia: dissolta o appunto incenerita. La tivù ci dà il proprio specchiarsi, il più delle volte, in altra tivù. Polemizzando in apparenza sul proprio referente, l'Italia appunto, in realtà sul proprio codice: se stessa. La post-politica è un metalinguaggio. Per questo non mi appassiona la voga del reportage. Perché illudendosi di raccontare l'Italia reale i nostri scrittori, anche i più bravi, contribuiscono a crearla, quella cappa di finzione. Uno bravo senz'altro è Antonio Pascale. Al festival della Fotografia di Roma c'è la mostra "Solo in Italia", della quale il libro-catalogo (Contrasto) ospita un suo ampio reportage dalle tante Italie dimenticate, irriducibili all'International Style: dalla Carrara abbacinante di marmi alle Marche solidamente conservatrici (la terza Italia degli economisti) sino alla Campania assuefatta alla catastrofe. A controcanto, le immagini di Francesco Cocco, Daniele Dainelli, Lorenzo Cicconi Massi e Massimo Siragusa. La scrittura di Pascale è piacevole, sinuosa e strascicata come la sua voce; abitata da un'irreprimibile nostalgia per un'Italia che non c'è più (non a caso è evocato il Pasolini delle lucciole). Eppure anche così si fronteggiano due Italie virtuali: quella astratta dei sociologi e quella autentica sì ma sparita, oltrepassata. Nel modello di questo libro, il Viaggio in Italia che un quarto di secolo fa vide Gianni Celati accompagnare Luigi Ghirri, Gabriele Basilico e un'altra decina di grandi fotografi, si produceva davvero il miracolo, invece, di sospendere il giudizio per abbandonarsi a quello che si vede. Forse vale la pena rovesciare la prospettiva. Anziché esplorare la realtà nascosta alla ricerca dell'inedito urticante o addirittura horror, al contrario mettere alla prova la superficie di ciò che si vede. Sino a forzarne la pellicola di mistificazione, metterne a nudo l'intelaiatura. È quello che, col vecchio Baudrillard, si potrebbe chiamare realismo della derealizzazione. Raccontare quanto le narrazioni che ci ammanniscono siano ingannevoli: quanto disprezzano chi le consuma. E magari - al modo di un Calvino dimenticato per eccesso di pregnanza - cercare i punti dove la finzione non tiene. Dopo di che scegliere: se continuare a vivere nella realtà finzionale come se nulla fosse, o sforzarsi di allargare la maglia nella rete e fare finalmente un viaggio nel reale (la pillola blu e la pillola rossa di Matrix, certo. Il film, non il programma fotocopia di Bruno Vespa). Uno dei libri di maggiore successo, la scorsa stagione, è stato L'Italia spensierata di Francesco Piccolo (Laterza). Che si esponeva, come a una fonte radioattiva, a Domenica in, a Boldi e De Sica o a Mirabilandia. Di Caserta come Pascale, Piccolo ha una scrittura più aguzza e scattante. Ma se Pascale si presenta 'in direzione ostinata e contraria' (corrivamente citando De André), Piccolo fa di tutto per smentire il titolo della sua collana, Contromano. Non vuole affatto demistificare, decostruire la finzione ecc. (tutta ideologia, per lui); al contrario intende sviscerare lo strato che, di tutto ciò, avremmo dentro tutti. Tutti coloro, beninteso, che per dovere si ostinano a leggere Georges Perec quando in cuor loro - come tutti gli altri - vorrebbero invece essere da Mara Venier. La differenza culturale è per lui una forma di distinzione. Questa sì da demistificare. Troppo confidando nell'onnicomprensività di quei tutti. E con una carica di ideologia inconfessata (ci mancherebbe!) quanto, in effetti, sviante. Allora mi tengo le nostalgie di Pascale: che almeno se le consuma, appunto, in solitudine.

Più recente Italia 2. Viaggio nel paese che abbiamo inventato (minimum fax) di Cristiano De Majo e Fabio Viola. L'assunto non pare diverso da quello di Piccolo: i reportages sono da luoghi come Milano 2 (appunto), la villetta di Cogne, il festival di Sanremo. Il titolo, in apparenza fighetto, coglie l'effettiva divisione dell'Italia una e bina, l'Italia parallela. Ancorché nati nel 1975, cioè nel pieno della melassa televisiva rimpianta da Piccolo, De Majo e Viola hanno ben chiare le distinzioni fra il vero e il falso. Magari con quella conflittualità che Piccolo detesta, ma almeno senza un'ideologia inconsapevole (e dunque traditrice). Fatto sta che non sbagliano un colpo. Ben capendo un aspetto tecnico, diciamo, della derealizzazione: essa per funzionare deve ammantarsi del proprio contrario, cioè di autenticità. Per ingannarci fa appello alle nostre nostalgie, alle nostre illusioni. La finzione per eccellenza è il Mulino Bianco dal quale prendono le mosse: rinviando a un immaginario che, proprio perché frastornato dalle finzioni, cerca ciò che era autentico, non ciò che lo è davvero, qui e ora (Adorno, discutendo il Gergo dell'autenticità di Heidegger, aveva già capito tutto). Per questo non manca nelle loro parole una certa indignazione. Lo so che anch'essa è un prodotto di largo consumo (anche elettorale). Ma se quel che mi si offre in cambio è l'assuefazione, l'ironia quietista del così è se vi pare perché così fan tutti, allora preferisco restarmene indignato. In solitudine, se necessario." (da Andrea Cortellessa, Questa Italia così poco onorevole, "TuttoLibri", "La Stampa", 12/04/'08)

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