mercoledì 2 aprile 2008

Francis Bacon, il pittore filosofo


"Devo ammettere che la mostra di Francis Bacon a Palazzo Reale è un correttivo di qualità nella ondivaga e contraddittoria politica culturale del Comune di Milano. L'antologica, curata da Rudy Chiappini, fino al 29 giugno, Skira Editore, comprende 60 opere del grande pittore, nato in Irlanda e vissuto dall'età di 16 anni sempre a Londra. Nulla a che vedere naturalmente con la straordinaria retrospettiva, curata da David Sylvester (il più grande studioso dell'artista) al Museo Correr nella Biennale di Venezia del '93: qui era esposto anche il Trittico della Crocifissione, eccezionalmente prestato dal Guggenheim di New York. Francis Bacon rappresenta un caso classico di realismo concettuale, realizzato con i mezzi tradizionali della pittura, ultima figura tragica dell'arte contemporanea, capace di tenere con pudore fuori dalla pittura i risentimenti esistenziali della propria biografia, per dare spazio formale invece alla rappresentazione filosofica dell'uomo. Il grande pittore anglosassone (inizialmente influenzato da Picasso, Leger e de Chirico) ha saputo combattere ogni facilità espressionistica mediante l'assunzione di una forma simbolica, apparentemente fuori tempo, quale l'ordine prospettico. Un ordine corrispondente non soltanto ad una geometria delle forme ma anche ad una della mente. Egli si è fatto carico di quello che sembrava un antiquariale strumento di una visione del mondo per affrontare il confronto con mezzi di riproduzione meccanici dell'immagine, quali la fotografia di Muybridge e il cinema di Ejzenstejn, l'istantanea e la sequenza, portatori di ben altra visione delle cose. Egli ha voluto confermare il valore traumatico delle individualità con un mezzo artigianale, la pittura, contro altri mezzi evocanti standard e moltiplicazione. Ha proceduto attraverso il rigore di una strategia creativa, giocata sulla formalizzazione della figura e del recinto che la perimetra. In tal modo si è assicurato il controllo della superficie pittorica, costruendovi uno spazio interno come misura specifica del quadro e dell'esistenza rappresentata. Una serenità paradossale assiste tale costruzione, segno di non regressione culturale verso un passato impossibile, quanto piuttosto evocazione drammatica di una perfezione concettuale, messa alla prova dal perturbante di una forma antropomorfica inevitabilmente in conflitto col recinto geometrico: Three Studies of Isabel Rawsthorne, 1967. La geometria di tale recinto assume l'espediente retorico della perfezione, in quanto funzionale allo scatenamento prodotto sulla figura interna spaesata in un centro impossibile. Se le figure di Tiziano abitavano il centro possibile dello spazio rinascimentale, anche nel dubbio del disegno ad artiglio della mano del papa Farnese, ora le figure di Bacon non hanno dubbi: si ribellano contro tale spaesamento inscenando una propria presenza, non dignitosamente figurativa ma al limite del figurabile. Significa una lacerazione delle figure al limite dell'informe, che riesce a trattenere nella formalizzazione della propria presenza una materia che non trattiene il proprio contorcimento neanche di fronte alla compostezza dell'arte e allo sguardo dello spettatore. Il figurabile di Bacon è assolutamente preparato dall'artista con pragmatica determinazione, nella consapevolezza che non esiste fuori dalla misura dello spazio una misura della posa, ma per eliminarne le cortigiane ipocrisie del saper essere, a favore di un dover essere fuori da ogni compostezza. Egli sa bene che l'arte contmporanea ha superato ogni dignità, che non esiste il senso comune del pudore e che potenzialmente, come aveva capito Kokoschka, l'artista stesso è un potenziale assassino e non soltanto nella forma. Bacon è un delinquente delicato, compreso nel lavoro di formalizzazione dell'opera che gli permette contemporaneamente onnipotenza e compostezza, senso dello spazio sconfinato della pittura e sconfinatezza descritta della figura: Figure Study II, 1945-1946. La figura si contorce, urla, defeca e cammina a carponi e, dunque, mette in scena la propria realistica materialità al confine di un figurabile, intreccio fra codice figurativo ed informale. Il recinto prospettico conserva la forza del ring, rende plausibile la rappresentazione dell'uomo, pugile scomodo e urlante contro lo statuto della realtà regolato dalla vita sociale e dal limite della morte. Vita e morte sono i fattori che consentono a Bacon il riconoscimento della pura materialità di un corpo elasticamente in eterna contorsione, per liberarsi dai lacci di un destino conosciuto e prevedibile, come la costruzione dello spazio prospettico. Come Velazquez con la corte spagnola, Bacon ha la spudoratezza di rappresentare in forma filosofica gli aspetti dell'uomo attraverso il pudore oggettivato di una forma, capace di essere riconosciuta ed accettata dai regnanti e dagli umili: Oedipus and the Sphinx after Ingres, 1983. Qui sta la forza sovrana di Francis Bacon che, come Tiziano e Velazquez, impone la propria rappresentazione a unica possibilità formalizzata della condizione umana. Di un realismo concettuale si tratta, in quanto l'immagine figurabile detta attraverso di sé informazioni sull'esistente ed uno struggente senso inevitabile di bellezza. Qui sta anche la capacità trasfigurante dell'arte e la misura tragica di Bacon come artista contemporaneo. Egli riesce a conservare nel dominio formale dell'immagine la capacità intatta dell'arte classica di comunicare il valore definitivo della condizione del nostro presente. Di esso egli preleva la valenza riproduttiva dell'immagine, fotografia o cinema, istantanea o sequenza, per utilizzarla nel quadro o nel trittico, come possibilità di cogliere l'immediatezza effimera del tempo, coniugandole nella definizione dello spazio pittorico. Qui Francis Bacon produce l'efferata rappresentazione di un'immagine sempre stereofonica, formalmente al limite dell'urlo feroce, appena contenuta nel silenzio figurabile di una forma che rispetta la classicità tradizionale di un genere, la pittura che non chiede gli effetti facili del sonoro ma piuttosto la possibilità di poter viaggiare scivolando nello spazio e nel tempo della storia." (da Achille Bonito Oliva, Francis Bacon il pittore filosofo, "La Repubblica", 31/03/'08)

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