lunedì 28 aprile 2008

Firmino di Sam Savage


"Il protagonista di Firmino (Firmin: Adventures of a Metropolitan Lowlife), lo straordinario romanzo di Sam Savage, è un topo, anzi un ratto. Non crediate che ricordi Topolino di Walt Disney: un topo completamente umanizzato - un americano, intelligente e coraggioso, del tempo di Roosevelt. Firmino è un vero ratto: tutto il libro è intriso del suo profumo; con immenso piacere, noi odoriamo, squittiamo, mangiamo, guardiamo, ci avventuriamo nel mondo, come se fossimo ratti anche noi. Quando Firmino prende in mano la penna invisibile che Sam Savage gli ha prestato, scrive estrosamente, brillantemente, con un appassionato amore per la letteratura e uno squisito dono della variazione. Come i veri topi, non ride: ma il suo romanzo è spiritosissimo e divertentisissimo ed eredita tutte le corde del riso: shakespeariano, cervantino, swiftiano, dickensiano, carrolliano, stevensoniano, chapliniano. La madre avventurosa ed ubriacona di Firmino - Flo - si era rifugiata in una oscura, calda e umida libreria, a Boston, Scollay Square. Doveva partorire. Guardava con stupore rattesco gli scaffali di legno stipato di file di libri, mentre altri libri erano infilati di piatto tra gli scaffali, ed ancora altre enormi ziggurat di volumi stavano ammonticchiate sul pavimento. C'era di tutto: vecchi tomi rilegati in pelle, spaccati e ammuffiti, e volumi recenti ed economici. Flo non era colta: non aveva nessuna idea di cosa fossero i libri; per lei erano soltanto soffice, morbidissima carta. Afferrò uan copia di Finnegans Wake, ignorando che era il capolavoro meno letto della letteratura universale: ne estrasse un cumulo di carta, lo pestò al centro, lo rialzò lungo i bordi, e lo trasformò in una tana. Poco dopo, beatamente, senza soffrire, scodellò in quel testo illeggibile tredici piccoli ratti. Tutto sarebbe andato nel migliore dei modi, e Sam Savage non avrebbe scritto questo bellissimo romanzo - se Flo non avesse avuto soltanto dodici capezzoli. Ma i ratti erano tredici: Firmino era il più gracile, e i robusti e violenti fratelli non lo lasciavano avvicinare ai capezzoli della madre. Così Firmino dovette rinunciare al latte materno - cosa che avrebbe avuto effetti disastrosi sul suo equilibrio psichico. Appena nato, diventò l'escluso. Per non morire di fame, cominciò a rosicchiare libri. Li masticava per ore, come se fosse gomma. Avevano un sapore gradevole, e mangiarli divenne presto per lui un'abitudine. Da principio non distingueva: un boccone di Faulkner era, per lui, come un boccone di Flaubert. Poi imparò a conoscere le cose chiamate reali - i grattacieli, i cavalli, i fiori, un letto disfatto, il fischio di un treno, una zattera - e si rese conto che Eisenhower era una persona, mentre Oliver Twist era un personaggio romanzesco. La lattuga sapeva di Jane Eyre. Dopo anni, venne illuminato dalla verità: un libro buono da mangiare era bello anche da leggere. Intanto, non sappiamo come, Firmino aveva imparato a leggere. Diventò un vizio: una terribile dipendenza. Lesse di tutto: filosofia, psicoanalisi, linguistica, astronomia, astrologia, la Bibbia, il Corano, la Bhagavad-Gita, il Libro dei morti, la Rivoluzione francese, la Rivoluzione russa, Kant, Hegel, Swedenborg, storia irlandese, ricette, barzellette, malattie, nascite, esecuzioni ... Quando si specializzò in narrativa europea dell'Ottocento, il suo amore per la letteratura toccò il culmine. Fece amicizia con tutti i personaggi di Jane Austen, Balzac, Stendhal, Dickens, Flaubert, Tolstoj, Dostoevskij, Henry James, Thomas Hardy. Visse con loro. Strinse la vita sottile di Natasha Rostova: sentì la mano di lei posarsi sulla sua spalla, e danzò con lei, trascinato dal valzer. Costrinse Baudelaire a salire sulla zattera di Huck Finn. Continuò i romanzi lasciati a metà: nell'estate del 1929, mentre Wall Street stava per crollare all'insaputa di tutti, che vestiti indossavano i personaggi? Che tipo di scarpe? Che genere di mutande? E i capelli, che taglio avevano? Mentre i suoi fratelli si perdevano nelle piazze, nelle gallerie e nei rivoli del mondo esterno, Firmino diventò un ratto-libro. E con un atroce dolore, pieno di venerazione per la lettura, comprese che non poteva più rosicchiare e divorare i libri. Doveva soltanto leggerli. Di quel piccolo ratto avido e squittente, non rimase quasi più nulla. Siccome leggeva romanzi dell'Ottocento, si trasformò in un personaggio malinconico e disperatamente romantico, con venature di follie e di stravaganze, incerto tra i due mondi ai quali apparteneva. Imparò a conoscere i sentimenti degli esseri umani. Come Dickens e Dostoevskij, comprese che la vita è una farsa tragica, insieme straziante e ridicola. Immaginò di essere simile a Don Chisciotte: fatuo, cocciuto, clownesco, ingenuo fino alla cecità, idealista fino al grottesco. Quando lesse Henry James, tutta la sotterranea disperazione e la rassegnazione nascoste nei suoi romanzi vennero a galla, riversandosi come bollicine nei suoi occhi, e velandogli la vista. Non osava guardarsi negli specchi. [...] Come un narratore dell'Ottocento, un giorno cominciò a raccontare la storia della sua vita. Iniziava così: "Questa è la storia più triste che abbia mai sentito". Rimase disteso tutta la mattina sulla poltrona, con i piedi all'aria, mentre le frasi si susseguivano come folte carovane arrivate dal deserto. Intanto, sulla piazza, un immenso Caterpillar del comune di Boston radeva al suolo la libreria dove, nel bagno, c'era ancora la copia di Finnegans Wake, che tanti anni prima era stata il suo nido. Ho cercato di raccontare come potevo il sottilissimo romanzo di Sam Savage, al quale auguro, anche in Italia, i molti lettori che ha avuto nel mondo. Non ho detto nulla di Savage. So soltanto che è venuto al mondo nel 1940, in South Carolina, vivendo dove l'estro lo trascinava. Ha insegnato filosofia, venduto biciclette, e composto versi parodistici. Firmino è il suo primo libro. Scritto, come nessuno immaginerebbe, a sessantaquattro anni. Non so cosa augurargli. Da un lato, spero che Sam Savage, ubiquo come il suo topo, scriva molti romanzi, per la gioia dei suoi lettori. D'altra parte, vorrei che Firmino rimanesse solo. Vorrei ascoltare esclusivamente il suo squittio doloroso, nel quale si riflette la voce di tutta la letteratura." (da Pietro Citati, Il topo di biblioteca che divorava i libri, "La Repubblica", 28/04/'08)

1 commento:

Anonimo ha detto...

come sempre, P.C. dà l'impressione di aver letto distrattamente quello che recensisce.